The Human Tools
Il film di Nico Angiuli, in mostra nell'ambito di Arte al Centro 2019.
"The Human Tools", un film di Nico Angiuli prodotto da Cittadellarte.

“The Human Tools”
di Nico Angiuli

Il film The Human Tools, scritto e diretto da Nico Angiuli e realizzato in collaborazione con Cittadellarte è uno dei vincitori della III edizione del bando Italian Council (2018), concorso ideato dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane (DGAAP) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali per promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo.
Il film sperimentale si è sviluppato attraverso periodi di residenza e workshop e che ha visto coinvolti attori professionisti e non, stagisti, lavoratori migranti e robot. A Cittadellarte, infatti, si sono tenuti laboratori e workshop che hanno visto la partecipazione di ospiti internazionali di ambiti quali il mondo della robotica e dell’intelligenza artificiale, della sociologia del lavoro e del giornalismo d’inchiesta (maggiori dettagli sugli incontri).
La première pubblica a Cittadellarte è avvenuta il 24 maggio del film è fissata alla presenza dell’artista, dopo il successo riscontrato all’Istituto Italiano di Cultura di Berlino, al Centro Colombo Americano di Medellìn e al BOZAR Museum – Centre for Fine Arts.
The Human Tools è visibile a Cittadellarte nell’ambito di Arte al Centro 2019.

 

 

Per illustrare al meglio i contenuti dell’opera in vista della presentazione di venerdì, vi proponiamo il testo curatoriale di The Human Tools (Respiri Artificiali, di Valerio Del Baglivo).

Statue parlanti
Buio. Improvvisamente una voce fuori campo ci da il benvenuto introducendoci al film con una lunga lista di verbi carichi di significato: sopraffare, faticare, dominare, replicare, controllare, selezionare, spersonalizzare, de-umanizzare… Poi lentamente dal nero scenico emergono gli undici protagonisti di The Human Tools, e ancora una volta ci troviamo di fronte ad una danza dei corpi che mette in scena movenze, strumenti e linguaggi specifici ad ogni personaggio. Sono circa dieci anni che Angiuli compie un’affinata ricerca sui temi dello sfruttamento sul lavoro, del caporalato, dell’automazione dei corpi nel lavoro agricolo e del ruolo dei nuovi migranti. Come un archivista compulsivo, colleziona gesti e movenze fisiche che rimandano alle trasformazioni del ruolo dei lavoratori in epoca postindustriale. La materializzazione di coercizioni fisiche e psicologiche ridotte all’osso attraverso un gesto corporeo (od una coreografia di gesti, cioè una danza) che meglio le esemplifica. E non è un caso che al centro del nuovo progetto vi siano anche dei robot, il cui significato deriva dalla parola ceca robota, lavoratore forzato. Stavolta però, come spettatori, non assistiamo inermi; siamo invece circondati da una pletora di personaggi tutti accomunati da condizioni esistenziali (artificiali o umane che siano) nel quale i propri corpi sono sotto scacco. Essi ci raccontano le proprie vicende disgraziate, lamentandosi tra di loro, e cosi facendo, proprio come le statue parlanti di Roma, sembra commentino sarcasticamente le condizioni di vita e di lavoro contemporanee.

Coralità senza centro
Se si analizza lo sviluppo dell’intera opera di Nico Angiuli, vi è certamente un elemento che ne ha caratterizzato il suo esito finale: l’artista ha costruito una fitta rete di relazioni con esperti di varie discipline (tra cui fra gli altri il direttore di un centro di ricerca robotica dell’Università di Palermo, un manager del sindacato CGIL che si occupa di migrazione ed un antropologo albanese), dando vita a conversazioni pubbliche per connettere i temi delle forme contemporanee di de-umanizzazione schiavile con quelle dell’umanizzazione delle macchine-robot e dell’uomo come attrezzo. Potremmo descrivere questo processo come una breve esperienza educativa, una scuola, che ha visto la partecipazione di tutti gli attori successivamente coinvolti nel film. Come in una sorta di brain-storming permanente, per qualche mese, infatti, lo studio dell’artista presso Cittadellarte si è animato di un dibattito a più voci. È importante sottolineare come per questo esperimento corale non abbiano giocato un ruolo importante solo gli esperti invitati, ma anche gli attori stessi: infatti l’intera sceneggiatura è stata costruita a partire dalle loro storie personali, creando un’aderenza tra le esistenze e le vicende degli interpreti e la finzione dei fatti raccontati.
Come conseguenza di questo processo preparatorio, risulta non esistere un singolo genere o una singola trama che contenga l’intero film. Eppure tutte cercano di raccontare una storia simile, persino laddove puntano in direzioni diverse: quella delle implicazioni socio-politico ed economiche dell’automazione del corpo umano. Questa voluta mancanza di centralità e moltiplicazione dei punti di vista, produce un’indeterminatezza della distanza ed impedisce un giudizio definitivo sulla natura dell’oggetto che è davanti ai nostri occhi. Lo stesso vale per il tempo ambiguo di The Human Tools: in alcuni momenti sembra ci troviamo nel futuro, in altri emergono chiari segni di un passato non estinto. Il prima e il dopo si intrecciano inesorabilmente, per cui è complicato stabilire se i personaggi raccontati siano vicini o lontani. Permane invece una condizione precaria, uno stato simile all’incertezza nel quale è difficile stabilire davvero se i protagonisti siano una replica di qualcosa che è esistito o esiste altrove, o se invece siano i temi dei loro racconti ad essere emanazioni illusorie del mondo reale.
Del resto la sceneggiatura del film lavora anche con una serie di visioni al limite della farneticazione, in cui non è mai facile comprendere se i soggetti siano davvero vittime di un più ampio complotto, se le loro convinzioni siano un parto della mente, o ancora, se le condizioni di soggiogamento in cui si trovano siano state (in)consciamente auto-indotte. Di certo la coralità metodologica adottata per sviluppare l’intero progetto si riflette nei numerosi dialoghi con cui i personaggi interagiscono e riferiscono, al proprio pubblico, della loro esistenza..

Respiri artificiali
L’esperimento di Nico Angiuli ricorda il romanzo Città Assente (1992) dello scrittore argentino Ricardo Piglia. Al centro del libro, una donna, Elena, moglie dello scrittore e filosofo argentino Macedonio Fernández, il quale, quando lei si ammala incurabilmente, cerca di salvarla trasferendo i suoi ricordi in una macchina che conserva le sue sembianze. Con il tempo, pero, la macchina inizia ad essere autonoma, inventando storie che hanno delle conseguenze sulla realtà, fino a quando un non ben identificato governo centrale decide di impossessarsene, rinchiudendola nel museo cittadino per celarne i reali poteri. La storia procede senza sosta, a partire dalla vicenda di un giornalista investigativo che cerca di scoprire la verità, e che si trova suo malgrado intrappolato in un gioco di intrecci tra le storie perpetuate dalla macchina, quelle “ufficiali” diffuse dagli organi di polizia, e quelle inventate da una serie di personaggi che si adoperano con il fine di destabilizzare ancora di più il flusso delle informazioni. Vi si trovano molti dei temi affrontati da Angiuli nel suo film, quali il progetto amoroso naufragato in un rapporto di controllo corporeo, quello della traduzione come impossibile copia del reale, della metafora della macchina come generatrice di prosa e dell’ossessione di controllo che anima l’invenzione di alcune delle creature presenti in The Human Tools. Ma al contrario dei protagonisti di Piglia, che lottano per destabilizzare un potere semidittatoriale, i personaggi di The Human Tools sembrano essere bloccati in una sorta di stato confusionario: come alimentati da una macchina per la respirazione artificiale, non riescono a superare i confini delle loro soggiogazioni. Le ultime scene si susseguono veloci, dimostrando tutti i limiti dei sogni di riscatto dei personaggi: non desideri di libertà assoluta, ma solo istanti di felicità mondana. L’indottrinamento ormai è compiuto e ha reso corpi e menti docili ed Angiuli sembra concludere con una domanda senza risposta: se i personaggi del film non sono in grado di immaginarsi diversamente, allora qual è il grado di collaborazione tra chi esercita forme di ammaestramento, indottrinamento e controllo e chi li subisce?

 


The Human Tools, Credits:
Scritto e diretto da: Nico Angiuli
Attori: Luca Antonello | Eleonora Battaglia | Tatiana Cazzaro | Shahzada Husnain Fiaz | Elena Gugel | Cece Mannazza | Seth Oppong Osuwu | Noemi Iuvara | Erica Massaccesi | Graziella Panetta | Kastriot Shehi
Coordinato da: Juan Esteban Sandoval
Direttore della Fotografia e progetto luci: Giuseppe Valentino
Editing video: Guglielmo Trupia
Effetti visivi: Raffaele Fiorella
Trucco e acconciature: Daniela Melis
Costumi: Augusta Tibaldeschi e Roberta Vacchetta
Coreography Supervisor: Ester Fogliano | Susy Mantovani
Musiche originali: Rino Arbore
Color: Pietro De Tilla
Progetto del suono: Duccio Servi | Giulia Silvestri
Suono in presa diretta: Nicholas Ferrara
Assistenti di produzione: Andrea Abate | Ilaria Bernardi | Clara Tosetti
Progetto videoallestimento: Alessandro Vangi